Archivi del mese: marzo 2009

Liberi di non essere ascoltati

Il Senato dice ha detto si al ddl Calabrò. Dopo ore di polemiche e contestazioni, l’aula di palazzo Madama ha dato l’ok all’ennesima “legge truffa”. La facoltà di scelta del cittadino italiano ne esce, non ampliata, semmai derisa e svuotata. Toccherà adesso alla Camera rimediare al palese strappo costituzionale o ratificare questa sostanziale presa in giro. Comunque vadano le cose il Partito Democratico non si arrenderà facilmente, come si evince dalle parole di Enzo Bianco: “La legge approvata oggi non ha nulla a che vedere con il testamento biologico. Siamo pronti al referendum”.

Già nella mattinata di oggi, durante la votazione dei singoli emendamenti, il dibattito al Senato si era acceso.

Liberi di scegliere e di rimanere inascoltati. Così potrebbe essere intitolato l’ultimo capitolo dell’ odissea sul testamento biologico. Con 136 voti favorevoli , 116 contrari e un astenuti passa l’emendamento, proposto dall’Udc, che esclude la vincolatività delle dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat). Sparisce così l’unico barlume di coerenza costituzionale, introdotto nel ddl dopo una lunga battaglia del Partito Democratico, ma anche dei dissidenti Pdl.

Il nuovo testo del comma 1 dell’articolo 4 ora recita: “Le dichiarazioni anticipate di trattamento non sono obbligatorie”, mentre il testo originario prevedeva: “non sono obbligatorie, ma sono vincolanti”. In buona sostanza, si permette ai cittadini di decidere della propria vita, avvertendoli che i medici saranno liberi di non tener fede al testamento biologico.

Immediate le reazioni all’interno del PD. Anna Finocchiaro, capogruppo PD al Senato, commenta amaramente l’esito della votazione: “Eravamo qui per scrivere un testo sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, ma adesso con l’emendamento approvato che non le rende vincolante parliamo di un oggetto misterioso. Se un individuo scriverà una dichiarazione, non conterà nulla. In questa aula ora di che cosa continuiamo a discutere? C’e’ un limite oltre il quale la finzione non si regge più. Agli italiani avete spiegato che questa era una legge per poter scrivere il proprio testamento biologico, ora gli dite che invece non contano più’ niente. Mi pare che ormai il contrasto con l’articolo 32 della Costituzione e’ solare” e il ricorso ai giudici e alla Consulta sarà inevitabile”.

Ancora più lapidarie le parole di Ignazio Marino, che definisce l’accaduto come il “bacio della morte alla legge sul testamento biologico, da stamane ufficialmente carta straccia. La non vincolatività delle dichiarazioni anticipate di trattamento, decisa con un emendamento approvato dall’aula, va contro il parere espresso su questo testo dalla commissione Giustizia del Senato”. Nelle sue parole c’è la delusione per un risultato che poteva essere diverso e per la retromarcia dei “laici Pdl”, richiamati all’ordine “dal diktat del governo”. “Se fosse negato il carattere vincolante di una dichiarazione – continua Marino – che, per definizione, non può essere confermata da un soggetto che abbia perso la capacita’ di intendere e di volere, tale dichiarazione risulterebbe priva di qualsiasi contenuto giuridico. Evidentemente coerenza e coscienza, per questa destra, non sono requisiti necessari”.

Lettera a Dario Franceschini

                                                                                                                                                                         Roma, 18/03/2009

 

Caro Segretario,

 

Ti scriviamo questa lettera come Circolo del PD dell’Istituto Superiore di Sanità. Siamo quindi lavoratrici e lavoratori che hanno voluto che all’interno del loro specifico ambiente di lavoro fosse condotta un’elaborazione politica, con la speranza che essa possa contribuire anche a livello nazionale su temi prioritari quali la tutela e la promozione della salute e della ricerca biomedica, anche di base, che produce innovazioni terapeutiche importanti. La formazione e l’aggiornamento del personale del Servizio Sanitario Nazionale sono un ulteriore importante impegno dell’ISS. Questi sono in sintesi gli elementi che definiscono la missione dell’Ente a cui apparteniamo. La breve presentazione è soltanto per renderti più chiaro ciò che ci spinge a scriverti dopo la tua proposta circa la moratoria per i precari della pubblica amministrazione.

Negli ultimi venti anni noi che lavoriamo in Istituto siamo stati attori e testimoni del radicale cambiamento delle modalità di accesso al lavoro in un ente pubblico. La procedura concorsuale,  modalità esclusiva di accesso al lavoro nelle istituzioni pubbliche, è stata praticamente  sostituita dal ricorso a forme improprie di lavoro parasubordinato, per lo svolgimento di attività che sono invece a tutti gli effetti di tipo subordinato e continuativo. Ti porgiamo solo alcuni dati.

Le lavoratrici ed i lavoratori precari nel nostro istituto sono, secondo una valutazione per difetto, circa 700. La mancanza di precisione dipende dalla presenza di quelli che noi chiamiamo “triangolati”, nostri colleghi retribuiti da altre Amministrazioni tramite le più diverse e spesso illegittime forme di pagamento.  Le tipologie contrattuali cosiddette ‘flessibili’ si ripartiscono quindi principalmente tra impieghi a tempo determinato e collaborazioni a progetto, più o meno in un rapporto di 1:1, che rappresentano però solo i due terzi dei lavoratori precari: i restanti appartengono alla categoria degli ‘invisibili’. L’anzianità media – nonostante la prima tornata di stabilizzazioni consentita dai provvedimenti del 2007 – è di dieci anni di attività in Istituto, attività spesso neanche interamente retribuita perché fortemente dipendente dalla disponibilità di fondi extramurari. Inoltre questi lavoratori e lavoratrici, afferendo alla gestione separata della contribuzione previdenziale, non hanno diritto alla retribuzione durante i periodi di malattia o maternità ed hanno finora maturato una miseria ai fini pensionistici.

 

Ora veniamo alla questione della moratoria che hai proposto contro i provvedimenti di licenziamento dei precari della pubblica amministrazione. Certo è meglio di niente, la moratoria è un respiro di sollievo: invece che tutti a casa subito, tutti a casa tra un anno. Ma questo sarebbe se ciascuno di quei precari fosse solo un precario. Di fatto per quanto riguarda la ricerca – ma non vediamo grosse differenze nella scuola – ciascuno di questi lavoratori è parte perfettamente integrata di un sistema complesso di attività che vanno ben al di là del singolo progetto o dell’incarico temporaneo per il quale sono stati ingaggiati, facendo invece parte della quotidiana ‘manutenzione’ e progettazione di un’attività complessa e di alto livello. Ciascuno di questi lavoratori ha costruito una sua identità attraverso i compiti svolti negli anni, identità che è lavoro e quindi un valore per tutti.

Quindi la moratoria di una anno non basta da sola e siamo certi che anche tu ed il partito tutto ne siete consapevoli. Non ci basta, nonostante la crisi finanziaria. Crisi finanziaria che sta già avendo ripercussioni sull’economia reale e costituisce perciò un elemento da tenere nella massima considerazione. Occorre però evitare di riparare la crisi del settore finanziario facendone gravare il peso in termini significativi su un settore cruciale anche per la ripresa dello sviluppo e dell’occupazione nel medio-lungo periodo. A maggior ragione in una realtà come quella italiana, che vede un’insufficienza patologica degli investimenti in istruzione, formazione, alta formazione e ricerca.

E’ quindi assolutamente doveroso opporsi alle misure dell’attuale governo, pena la rapida decadenza dell’ISS. L’estrema compressione del turn over e i tagli delle risorse ordinarie negli atenei, le disposizioni che prevedono il protrarsi di condizioni assolutamente vessatorie per il reclutamento negli enti di ricerca (il congelamento delle risorse ormai più che decennale, la battuta d’arresto del processo di stabilizzazione, il taglio degli organici) si collocano esattamente agli antipodi di ciò che la fase attuale richiederebbe.

‘Moratoria per un anno’ ci sembra uno slogan troppo semplicistico per farsi alternativa di governo e soprattutto per essere in continuità con l’ampia e ricca discussione che proprio da sinistra ha sottolineato la centralità del tema della conoscenza nella società contemporanea e la conseguente necessità di un suo potenziamento infrastrutturale. Da sinistra, non di meno, si è ribadita la necessità di riforma per molti dei livelli della filiera della conoscenza.

Ancora, ‘moratoria per un anno’ da sola non basta per restituire dignità a un percorso pluridecennale che coinvolge migliaia di lavoratori e che ha visto immense risorse economiche investite dallo Stato in termini di formazione. In particolare il lavoro precario che abbiamo conosciuto e che viviamo noi nel mondo della conoscenza si palesa con nettezza come un enorme fallimento economico, che impedisce di restituire al paese l’impegno in termini economici e infrastrutturali investiti nella formazione primaria, secondaria e superiore.

La riflessione oggi necessaria è che, in Italia, questa condizione di precarietà e di competenza frammentata non è da riferirsi solo alla popolazione più giovane dei lavoratori della ricerca, ovvero a quelli che stanno maturando la loro prima esperienza di lavoro, ma coinvolge soprattutto la fascia di lavoratori che è matura per sostituire i più avanti in età.  E’ sin troppo facile comprendere che il sistema ricerca nel suo complesso rischia, per non avere dato continuità formativo-professionale e radicamento nelle strutture di appartenenza, di assistere a una ulteriore dequalificazione e accumulo di ritardo rispetto al sistema internazionale, dove invece la ricerca appare tra le priorità di spesa pubblica e privata.

E’ questa la vera ‘fuga dei cervelli’, non solo quella sbandierata da ogni parte, che costringe all’emigrazione i giovani qualificati. E’ la contingente perdita dei lavoratori che non hanno ancora un rapporto di lavoro a tempo indeterminato che li integri in un sistema che valorizzi completamente l’apporto di ciascuno. Salvarli per un anno non è la soluzione che cerchiamo, a meno che non sia intesa come salvagente necessario per rendere possibile la ripresa e il completamento del percorso di stabilizzazione, al fine ultimo di rendere meno precaria la ricerca stessa!

 

 

Circolo del Partito Democratico

Istituto Superiore di Sanità

Intervento in Aula, 18 marzo 2009, discussione generale sul testamento biologico (Massimo Livi Bacci) – Presidente Emma Bonino

Signora Presidente, Colleghe Senatrici e Colleghi Senatori, Rappresentanti del Governo, Prendo brevemente la parola sul tema del testamento biologico – o, per stare al lessico invalso nelle nostre discussioni, Direttive Anticipate di Trattamento Sanitario – per dovere civico di testimonianza, ma con animo sconfortato. Un dibattito parlamentare su un tema così sofferto, complesso, e intimo quali sono le vicende del fine vita, avrebbe meritato di svolgersi in un clima disteso, dove avesse prevalso il rispetto per i fatti e per i dati scientifici, per le sensibilità religiose e filosofiche, per la funzione della legge come suprema regolatrice della società. Ma non è così, il dibattito avviene nella stessa aula dove – poco più di un mese fa – sono state pronunziate frasi violente ed imperdonabili riferite al doloroso epilogo – avvenuto nel rigoroso rispetto della legge – del calvario, durato 17 anni, di Eluana Englaro. Quelle frasi riassumono meglio di qualsiasi cronaca il degrado del clima nel quale i legislatori debbono discutere come dare contenuti attuativi non controversi a quel principio che la nostra Costituzione afferma solennemente all’art. 32: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.” Il principio è di una chiarezza cristallina: io credo che solo i bizantinismi che vanno contro la logica e la conoscenza scientifica acquisita, possono escludere dalla categoria del trattamento sanitario i non naturali e invasivi supporti all’alimentazione, alla idratazione o alla respirazione. L’ applicazione di questo articolo, in una società che rispetta l’individuo, e con una classe medica guidata dall’etica professionale e dai principi del giuramento d’Ippocrate, non dovrebbe essere controversa se non in casi estremi. Ed anche in questi casi – che riguardano di norma persone non coscienti o in stato vegetativo – l’analisi obbiettiva delle condizioni della persona, il giudizio professionale di uno o più medici, l’opinione dei familiari, o degli amici, o dei fiduciari, può ragionevolmente sostituirsi ad una volontà non più in grado di esprimersi. E nei casi per i quali dovessero sorgere divergenze di opinione, comitati etici ad hoc potrebbero indicare le giuste soluzioni. Una società che informasse in modo equilibrato ed umano pazienti e congiunti; che investisse nella formazione dei medici, soprattutto per quanto riguarda le cure palliative e le questioni del fine vita; una società che, sperimentando, scegliesse il miglior mix di conoscenze scientifiche, mediche, assistenziali e etiche per comitati di consiglio e mediazione per i casi controversi, ebbene, questa società potrebbe fare a meno di una legge sul testamento biologico. Siamo lontani da una società simile? Credo di no, e mi conforta in questa opinione la convinzione che il nostro sistema sanitario e di cura, sicuramente migliorabile, è di livello assai buono – e che i delicatissimi problemi legati alla fase finale della vita vengono ogni giorno affrontati serenamente con la legislazione vigente. Abbiamo solo bisogno di più cultura, più informazione, più equilibrio, meno strumentali radicalizzazioni.

Certo i fenomeni che stiamo discutendo tendono ad assumere una rilevanza sociale sempre più vasta. La popolazione invecchia rapidamente; la vita si allunga; aumenta la proporzione di persone che muoiono a seguito di lunghe malattie croniche irreversibili ed incurabili; aumenta l’efficienza delle terapie che rinviano la fine naturale ma non curano la patologia. E questa evoluzione consiglia di regolare ulteriormente, con prudenza e saggezza, alcuni aspetti del fine vita. Per queste ragioni sono uno dei 100 senatori che ha firmato il Ddl n. 10, primo firmatario Ignazio Marino. L’ho firmato con convinzione, perché contiene una visione umana, equilibrata, ragionevole e conforme alle conoscenze scientifiche, delle vicende di fine vita, nel caso che queste non portino ad una morte rapida e inevitabile. Una legge, ripeto, che avrebbe permesso di dare migliore attuazione ai principi contenuti nell’art. 32 della Costituzione, e che affronta i temi di grande rilevanza come le cure palliative e la terapia del dolore. Debbo però rilevare che anche qualora questo disegno di legge giungesse all’approvazione, la regolazione delle direttive anticipate non riguarderebbe la grande maggioranza delle persone. In un paese come gli Stati Uniti, dove il testamento biologico esiste da 18 anni, nemmeno il 20 per cento della popolazione ne ha sottoscritto uno; e ciò nonostante che di questi argomenti si dibatta accanitamente da un terzo di secolo e nonostante l’alta propensione, nella società americana, a programmare le vicende della propria vita. In altri paesi Europei, dove il testamento biologico esiste, le percentuali sono assai minori. In genere, sono meno propensi a sottoscrivere un testamento biologico le fasce di età giovani, meno istruite, con redditi più bassi. E’ perciò presumibile che solo una minoranza della popolazione italiana – quella con maggiori risorse economiche e di conoscenza – sarebbe incline a formalizzare in un documento le proprie direttive di trattamento di fine vita. Per il resto della popolazione – la maggioranza – la situazione rimarrebbe quella ora esistente.

Il testo a noi sottoposto è lontano le mille miglia dal Ddl n 10. Esso è ispirato a quello che chiamerei una sorta di accanimento ideologico – oltre che terapeutico – nel dichiarare obbligatorie e non disponibili l’idratazione e l’alimentazione forzata, come fa il comma 6 dell’articolo 3 del testo. E’ forse un’inspiegabile dimenticanza dell’estensore del testo il fatto che non venga citata la ventilazione forzata? Non è anch’essa un sostegno vitale indisponibile? E che ne sarebbe di altri eventuali futuri interventi che la tecnologia dovesse rendere possibili, magari maggiormente intrusivi, e solo diretti a sostenere e magari ad estendere a lungo una vita solo vegetativa? In un paese dove le chiese sono sempre più vuote e le gerarchie religiose – salvo qualche rara voce – si esprimono sulla questione con toni duri ed inflessibili (ma forse i due fenomeni sono in relazione tra loro), questa legge propone una normativa che impone – ripeto, impone – trattamenti terapeutici a chi non li avrebbe mai voluti. O che li rifiuterebbe qualora immaginasse che verrebbero mantenuti per anni o decenni. Senza tener conto del giudizio di medici coscienziosi, di familiari affettuosamente partecipi, e – aggiungo – del comune sentimento di pietà umana. E, visto che ho evocato la non condivisibilità delle opinioni delle gerarchie ecclesiastiche su questo tema, aggiungo che mi risultano assai sorprendenti le affermazioni del Papa, Benedetto XVI, nel suo viaggio Africano, quando ha affermato l’inefficacia, anzi la pericolosità, dell’uso di un metodo contraccettivo nel controllo dell’epidemia di AIDS. Dico questo col più grande rispetto e non per spirito polemico, ma perché proprio in quest’Aula, nella riunione di ieri pomeriggio, si sono discusse le mozioni sull’AIDS; lo dico anche per far rilevare che le opinioni delle gerarchie non possono costituire modelli di azione o fonte del diritto, soprattutto in materie nelle quali opinioni, filosofie ed etica non sono unanimi circa il modo di conseguire il bene comune della collettività.

La tecnologia biomedica avanza incessantemente e potrebbe, in futuro, fornire modi di sostegno alla vita inaccettabili. Normare il futuro, quando il confine tra vita e morte diviene sempre più esile e da linea sottile può trasformarsi in una zona grigia nella quale si potrebbe rimanere prigionieri a lungo grazie alla tecnologia, è arduo.

Altri colleghi, assai più competenti di me, hanno posto e porranno in rilievo i molti altri aspetti della legge non condivisi dalla nostra parte politica: sotto il profilo giuridico e della costituzionalità, della funzionalità, della praticabilità. Per quanto mi riguarda, quanto ho detto è ragione più che sufficiente per esprimere un convinto voto negativo. Essendo un inguaribile ottimista, spero che una più meditata considerazione della tormentata questione induca l’attuale maggioranza a rivedere le sue posizioni qui o nel passaggio alla Camera o, addirittura, alla più saggia delle decisioni: rimandare l’ulteriore regolazione delle vicende del fine vita ad altro momento, o ad altra fase storica, quando il tema non venga utilizzato per compiacere le gerarchie religiose, o per catturare qualche voto (perdendone, almeno spero, una maggiore quantità), ma per migliorare la vivibilità della nostra società.

Nuova interrogazione parlamentare PD sul precariato negli Enti di Ricerca

Nuova interrogazione parlamentare presentata dalle Deputate del Partito Democratico Marianna Madia e Teresa Bellanova. In questa interrogazione viene fortemente sottolineata la gravità del problema nell’Istituto Superiore di Sanità.

Interrogazione in Commissione ex articolo 133 del regolamento della Camera dei Deputati Madia-Bellanova – Al Presidente del Consiglio dei ministri Premesso che: – A un anno dall’insediamento del governo Berlusconi IV la sorte dei precari della pubblica amministrazione e in particolare dei ricercatori precari degli enti di ricerca pubblici non universitari è ancora incerta, rispetto alle prospettive di una stabilizzazione dei contratti di lavoro temporanei in essere. – Mentre si va compiendo, con quasi sei mesi di ritardo rispetto agli annunci, il monitoraggio dei contratti a termine nella pubblica amministrazione, appare evidente una situazione complessiva molto disomogenea. Vi sono enti che hanno realizzato le procedure di stabilizzazione, enti che si ripromettono di compierle, e altri che pur avendo alle dipendenze personale con i requisiti di legge non intendono compiere tali stabilizzazioni. – Questa difformità è presente anche all’interno degli enti di ricerca pubblici. Accanto ad enti che hanno già compiuto le stabilizzazioni come Isfol e CNR ve ne sono altri con un notevole problema di precariato. Secondo fonti sindacali un importante Istituto di ricerca come l’Istituto Superiore di Sanità avrebbe attualmente oltre 800 precari di cui solo la minoranza nelle more della stabilizzazione. – Di altri enti con personale stabilizzato come l’Isfol si è ravvisata in Parlamento la volontà del governo di procedere ad un’ampia opera di riorganizzazione che andrebbe a colpire direttamente lo status del personale. Il governo ha infatti tentato, vedendosi dichiarato inammissibile l’emendamento, di scorporare molto delle funzioni dell’Isfol per assorbirle direttamente nel ministero dell’Isfol. Questo accorpamento prevede una riduzione del trattamento economico del personale accorpato da integrare – secondo il testo del governo – con un eventuale assegno ad personam in riferimento al solo trattamento fisso e continuativo. Per sapere: quale sia allo stato attuale delle conoscenze del governo la presenza dei lavoratori precari all’interno degli enti di ricerca pubblici, quali abbiano avviato o intendano avviare, entro il 30 giugno 2009, le procedure di stabilizzazione e per quali ragioni alcuni enti non intendano o non possano attivare tali procedure. Quale sia la ratio del tentativo normativo di riorganizzazione dell’Isfol e se il governo intenda ripresentarlo all’interno di un altro progetto di legge includendo anche la parte relativa al trattamento economico del personale – Bellanova, Madia

Pd Lazio: Appoggiamo e sosteniamo le campagne di prevenzione sull’HIV Pubblicato in Prima pagina, comunicati, sociale – Giovedì, 19 Marzo 2009

Questo comunicato è stato pubblicato sul sito del PD Regione Lazio ed è stato costruito con il contributo in prima persona del Circolo PD Istituto Superiore di Sanità al quale la struttura regionale del partito ha chiesto collaborazione.

L’infezione da  HIV (AIDS) è stata ed è ancora una malattia discriminatoria nel nostro paese e nel modo.


Nonostante siano state accuratamente accertate le modalità di trasmissione , una grande maggioranza della popolazione mondiale, Italia compresa, è convinta che l’unica prevenzione possibile sia isolare il soggetto siero positivo come si trattasse di un individuo socialmente pericoloso”.

 

Lo dichiarano Elena Improta, responsabile Politiche Sociali PD Lazio e Marianna Bartolazzi, responsabile Diritti Civili PD Lazio.

 

“L’essere sieropositivo – proseguono – spesso significa essere allontanato dalla famiglia, dal giro degli amici, cacciato dal lavoro ed in alcuni paesi perfino incarcerato o ucciso. La perdita del lavoro e l’emarginazione a scuola sono ancora oggi dei pericoli per le persone sieropositive. Nel nostro paese spesso l’emarginazione è più subdola e colpisce soprattutto donne e bambini. Non fa più notizia il fatto che spesso accada che bambini vengono ritirati dalla scuola perché in classe è presente un bambino sieropositivo. Educare e prevenire, riprendendo le campagne di informazione attraverso i media, la scuola, i medici di base ed i consultori, sono le armi più efficaci per contribuire a non far diffondere il virus”.

 

“Appoggiamo e sosteniamo – concludono – i medici e i sostenitori del Circolo PD dell’Isituto Superiore di Sanità che tutti i giorni sono impegnati nella ricerca che ad oggi non ha ancora  trovato terapie in grado di guarire l’Aids né di arrestare la sua trasmissione attraverso liquidi biologici infetti. L’arma più importante per impedire che l’HIV entri nella nostra vita è la prevenzione il cui capitolo principale è un comportamento sessuale corretto e non a rischio utilizzando il preservativo”.

Lettera a Franceschini

Roma, 18 marzo 2009

 

 

Caro Segretario,

 

Ti scriviamo questa lettera come Circolo del PD dell’Istituto Superiore di Sanità. Siamo quindi lavoratrici e lavoratori che hanno voluto che all’interno del loro specifico ambiente di lavoro fosse condotta un’elaborazione politica, con la speranza che essa possa contribuire anche a livello nazionale su temi prioritari quali la tutela e la promozione della salute e della ricerca biomedica, anche di base, che produce innovazioni terapeutiche importanti. La formazione e l’aggiornamento del personale del Servizio Sanitario Nazionale sono un ulteriore importante impegno dell’ISS. Questi sono in sintesi gli elementi che definiscono la missione dell’Ente a cui apparteniamo. La breve presentazione è soltanto per renderti più chiaro ciò che ci spinge a scriverti dopo la tua proposta circa la moratoria per i precari della pubblica amministrazione.

Negli ultimi venti anni noi che lavoriamo in Istituto siamo stati attori e testimoni del radicale cambiamento delle modalità di accesso al lavoro in un ente pubblico. La procedura concorsuale,  modalità esclusiva di accesso al lavoro nelle istituzioni pubbliche, è stata praticamente  sostituita dal ricorso a forme improprie di lavoro parasubordinato, per lo svolgimento di attività che sono invece a tutti gli effetti di tipo subordinato e continuativo. Ti porgiamo solo alcuni dati.

Le lavoratrici ed i lavoratori precari nel nostro istituto sono, secondo una valutazione per difetto, circa 700. La mancanza di precisione dipende dalla presenza di quelli che noi chiamiamo “triangolati”, nostri colleghi retribuiti da altre Amministrazioni tramite le più diverse e spesso illegittime forme di pagamento.  Le tipologie contrattuali cosiddette ‘flessibili’ si ripartiscono quindi principalmente tra impieghi a tempo determinato e collaborazioni a progetto, più o meno in un rapporto di 1:1, che rappresentano però solo i due terzi dei lavoratori precari: i restanti appartengono alla categoria degli ‘invisibili’. L’anzianità media – nonostante la prima tornata di stabilizzazioni consentita dai provvedimenti del 2007 – è di dieci anni di attività in Istituto, attività spesso neanche interamente retribuita perché fortemente dipendente dalla disponibilità di fondi extramurari. Inoltre questi lavoratori e lavoratrici, afferendo alla gestione separata della contribuzione previdenziale, non hanno diritto alla retribuzione durante i periodi di malattia o maternità ed hanno finora maturato una miseria ai fini pensionistici.

 

Ora veniamo alla questione della moratoria che hai proposto contro i provvedimenti di licenziamento dei precari della pubblica amministrazione. Certo è meglio di niente, la moratoria è un respiro di sollievo: invece che tutti a casa subito, tutti a casa tra un anno. Ma questo sarebbe se ciascuno di quei precari fosse solo un precario. Di fatto per quanto riguarda la ricerca – ma non vediamo grosse differenze nella scuola – ciascuno di questi lavoratori è parte perfettamente integrata di un sistema complesso di attività che vanno ben al di là del singolo progetto o dell’incarico temporaneo per il quale sono stati ingaggiati, facendo invece parte della quotidiana ‘manutenzione’ e progettazione di un’attività complessa e di alto livello. Ciascuno di questi lavoratori ha costruito una sua identità attraverso i compiti svolti negli anni, identità che è lavoro e quindi un valore per tutti.

Quindi la moratoria di una anno non basta da sola e siamo certi che anche tu ed il partito tutto ne siete consapevoli. Non ci basta, nonostante la crisi finanziaria. Crisi finanziaria che sta già avendo ripercussioni sull’economia reale e costituisce perciò un elemento da tenere nella massima considerazione. Occorre però evitare di riparare la crisi del settore finanziario facendone gravare il peso in termini significativi su un settore cruciale anche per la ripresa dello sviluppo e dell’occupazione nel medio-lungo periodo. A maggior ragione in una realtà come quella italiana, che vede un’insufficienza patologica degli investimenti in istruzione, formazione, alta formazione e ricerca.

E’ quindi assolutamente doveroso opporsi alle misure dell’attuale governo, pena la rapida decadenza dell’ISS. L’estrema compressione del turn over e i tagli delle risorse ordinarie negli atenei, le disposizioni che prevedono il protrarsi di condizioni assolutamente vessatorie per il reclutamento negli enti di ricerca (il congelamento delle risorse ormai più che decennale, la battuta d’arresto del processo di stabilizzazione, il taglio degli organici) si collocano esattamente agli antipodi di ciò che la fase attuale richiederebbe.

‘Moratoria per un anno’ ci sembra uno slogan troppo semplicistico per farsi alternativa di governo e soprattutto per essere in continuità con l’ampia e ricca discussione che proprio da sinistra ha sottolineato la centralità del tema della conoscenza nella società contemporanea e la conseguente necessità di un suo potenziamento infrastrutturale. Da sinistra, non di meno, si è ribadita la necessità di riforma per molti dei livelli della filiera della conoscenza.

Ancora, ‘moratoria per un anno’ da sola non basta per restituire dignità a un percorso pluridecennale che coinvolge migliaia di lavoratori e che ha visto immense risorse economiche investite dallo Stato in termini di formazione. In particolare il lavoro precario che abbiamo conosciuto e che viviamo noi nel mondo della conoscenza si palesa con nettezza come un enorme fallimento economico, che impedisce di restituire al paese l’impegno in termini economici e infrastrutturali investiti nella formazione primaria, secondaria e superiore.

La riflessione oggi necessaria è che, in Italia, questa condizione di precarietà e di competenza frammentata non è da riferirsi solo alla popolazione più giovane dei lavoratori della ricerca, ovvero a quelli che stanno maturando la loro prima esperienza di lavoro, ma coinvolge soprattutto la fascia di lavoratori che è matura per sostituire i più avanti in età.  E’ sin troppo facile comprendere che il sistema ricerca nel suo complesso rischia, per non avere dato continuità formativo-professionale e radicamento nelle strutture di appartenenza, di assistere a una ulteriore dequalificazione e accumulo di ritardo rispetto al sistema internazionale, dove invece la ricerca appare tra le priorità di spesa pubblica e privata.

E’ questa la vera ‘fuga dei cervelli’, non solo quella sbandierata da ogni parte, che costringe all’emigrazione i giovani qualificati. E’ la contingente perdita dei lavoratori che non hanno ancora un rapporto di lavoro a tempo indeterminato che li integri in un sistema che valorizzi completamente l’apporto di ciascuno. Salvarli per un anno non è la soluzione che cerchiamo, a meno che non sia intesa come salvagente necessario per rendere possibile la ripresa e il completamento del percorso di stabilizzazione, al fine ultimo di rendere meno precaria la ricerca stessa!

 

 

Circolo del Partito Democratico

Istituto Superiore di Sanità

Interpellanze parlamentari presentate dal Sen. Ignazio Marino in materia di Ricerca e Precariato

INTERPELLANZE AL SENATO PER IL SOSTEGNO ALLA RICERCA ED AI PRECARI

SEN. IGNAZIO MARINO ED ALTRI

 

 

Legislatura 16º – Aula – Resoconto stenografico della seduta n. 138 del 29/01/2009


Svolgimento di interpellanze e di interrogazioni (ore 16,02)

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca lo svolgimento di un’interpellanza e di interrogazioni.

Sarà svolta per prima l’interpellanza 2-00037, con procedimento abbreviato, ai sensi dell’articolo 156-bis del Regolamento, su iniziative a sostegno dell’attività di ricerca.

Ricordo che, ai sensi dell’articolo 156-bis del Regolamento, la predetta interpellanza potrà essere svolta per non più di dieci minuti e che dopo le dichiarazioni del Governo è consentita una replica per non più di cinque minuti.

Ha facoltà di parlare il senatore Marino Ignazio per illustrare tale interpellanza.

MARINO Ignazio (PD). Signora Presidente, signor Sottosegretario, onorevoli senatrici e senatori, il settore della ricerca continua ad essere nel nostro Paese in una situazione di sofferenza. La spesa per ricerca e sviluppo, che in Italia non raggiunge l’1 per cento del PIL, ci vede ultimi tra i Paesi dell’Unione europea a 15, al di sotto della media dell’Unione europea a 27 e ben lontani dal 3 per cento che l’Europa si è data come obiettivo da raggiungere entro il 2010 (e siamo già nel 2009).

Anche se consideriamo il rapporto tra cittadini e ricercatori, secondo i dati dell’OCSE per il 2007, siamo ben al di sotto di Paesi come Francia, Germania e Regno Unito.

In una situazione come quella che ho appena descritto, stupisce che il Governo Berlusconi abbia pensato di introdurre nella scorsa finanziaria un emendamento che prevedeva l’abrogazione, a decorrere dal 1° luglio 2009, delle disposizioni relative alle procedure di “stabilizzazione” dei rapporti di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, stabilizzazione applicabile quindi anche ai lavoratori precari degli enti di ricerca.

Il Governo ha l’intenzione di rimettere in discussione le procedure di stabilizzazione che erano state previste dalle leggi finanziarie Prodi per il 2007 e per il 2008, procedure che rispondevano all’esigenza di risolvere la drammatica ed annosa situazione dei lavoratori precari. L’orientamento è quello di ostacolare il percorso di risanamento di un’anomala situazione che per anni ha visto l’utilizzazione del lavoro di persone che, in molti casi vincitori o idonei di concorsi o selezioni svolte negli anni passati, non erano e non sono mai state stabilizzate, anche a causa del continuo blocco delle assunzioni.

La situazione si presenta drammatica: stiamo infatti parlando di lavoratori – scienziati e personale dei centri di ricerca – altamente qualificati, che per anni hanno svolto con rigore e professionalità il proprio lavoro, per poter dare alla ricerca italiana un ruolo da protagonista anche in ambito internazionale. Per anni migliaia di ricercatori, tecnici, amministrativi hanno lavorato in condizioni difficilissime, garantendo il funzionamento del sistema pubblico della ricerca e dell’università.

Il blocco delle procedure di stabilizzazione comporta la dispersione di un patrimonio prezioso costituito da persone, a volte neanche più giovani, che hanno investito la loro vita nella ricerca, magari tornando dall’estero per poter dare il proprio contributo all’Italia, e che vedono svanire la possibilità di avere un futuro lavorativo stabile.

L’impossibilità di continuare ad usufruire dei precari storici comporterebbe anche la vanificazione delle risorse ingenti investite nella loro formazione e nei progetti di ricerca e l’aumento, a questo punto inevitabile, del triste fenomeno della «fuga dei cervelli».

In questi mesi, anche grazie alle proposte avanzate dall’opposizione e alla mobilitazione dei ricercatori precari, il Governo ha prima riformulato l’emendamento e poi avviato una serie di incontri con i presidenti degli enti di ricerca per l’istituzione di tavoli di confronto. Si tratta però solo di un’apparente soluzione al problema: a quanto mi risulta, mancano i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri autorizzativi per le procedure di stabilizzazione avviate dagli enti di ricerca e non ci sono quindi più i tempi utili per procedere alle ulteriori stabilizzazioni.

È quindi realistico pensare che il nuovo termine fissato non sarà sufficiente per procedere non solo alle stabilizzazioni previste con la legge finanziaria 2008, ma neanche a quelle previste con la legge finanziaria 2007.

Inoltre, le soluzioni riguardano unicamente i lavoratori con contratto a tempo determinato. Non sembrano esserci invece prospettive per le migliaia di cosiddetti precari invisibili: lavoratori a progetto, contrattisti, borsisti, i quali, se non verranno prese iniziative correttive, vedranno i loro contratti scadere senza possibilità di rinnovo successivamente al 30 luglio di quest’anno.

Sono, questi ultimi, vittime di un sistema che non ha indetto concorsi per anni, creando figure precarie, a cui è impedito di avere non solo certezze, ma anche speranze sulle prospettive professionali, speranze che sono indispensabili per poter svolgere il proprio lavoro con l’impegno e anche con la tranquillità psicologica che meriterebbero; quell’impegno, quella tranquillità psicologica che il sottosegretario Pizza insieme a me ha avuto la possibilità, solo una settimana fa, di vedere in tanti ricercatori italiani impegnati, ad esempio, in un’istituzione straniera come il Karolinska Institutet a Stoccolma, in Svezia.

Il ministro Brunetta, in un’intervista di qualche tempo fa, affermava che coloro che non saranno assunti, e che quindi perderanno il loro lavoro, «non saranno a spasso, si cercheranno qualcos’altro da fare. La ricerca è questa. I ricercatori sono un po’ come capitani di ventura, stabilizzarli è un farli morire». Vorrei ricordare al sottosegretario Pizza, al ministro Brunetta e a tutti i membri del Governo che molti di questi lavoratori hanno alle loro spalle anni di esperienza, spesso anche in altri Paesi. Poter fare esperienza all’estero è senz’altro utile; io stesso a 28 anni ho deciso di continuare i miei studi negli Stati Uniti per coltivare un mio sogno. Ma deve essere una scelta, non si deve essere costretti ad emigrare perché il nostro Paese non offre altre possibilità.

È una scelta miope quella di investire nella formazione dei nostri giovani per poi non lasciare loro altra possibilità se non quella di andare all’estero. In questo modo, non solo non riusciremo a trattenere le nostre menti migliori, ma non saremo di attrattiva per nessun ricercatore straniero; una strategia ancor più miope, se consideriamo che oggi viviamo una crisi finanziaria che richiederebbe di investire sul futuro, sui nostri giovani migliori. In un momento come quello che stiamo attraversando, bisognerebbe trovare misure comuni per fronteggiare i problemi di occupazione e sviluppo, puntando sui settori che, nel lungo periodo, possono ridarci fiducia e prospettiva. E invece frustriamo le speranze dei nostri scienziati e rischiamo di paralizzare gli enti di ricerca.

I provvedimenti adottati fino a questo momento sono la prova di una visione corta e limitata rispetto ai grandi problemi di questo Paese. Qual è la risposta di programmazione del Governo? L’unica risposta oggi è quella di tagliare i finanziamenti alla ricerca e rendere il settore ancora più precario. La risposta di un Governo che non ha a cuore il settore della ricerca e il suo valore per il futuro del Paese.

Signore e signori del Governo, con la presente interpellanza vogliamo conoscere, alla luce di quanto ricordato, quali iniziative siano state adottate al fine di garantire il proseguimento delle fondamentali attività svolte dagli enti di ricerca e quali risposte siano state date alle migliaia di precari che stanno lavorando in questi anni con professionalità e dedizione e che potrebbero trovarsi presto senza una posizione.

Vi chiedo, inoltre, se non riteniate improcrastinabile aumentare l’investimento sulla ricerca, anche al fine di reagire alla crisi finanziaria in corso e di conseguire gli obiettivi di crescita sanciti nel Consiglio europeo di Lisbona, ritenendo a tal fine indispensabile rafforzare la crescita e l’indipendenza, in particolare, dei ricercatori.

Per queste ragioni, ribadendo la mia richiesta di conoscere quali azioni il Governo intenda intraprendere in questo campo, ritengo però necessario imprimere una significativa accelerazione nella direzione di un sistema basato sulla valutazione e sulla valorizzazione del merito, su risorse appropriate e programmate, su un regime fiscale incentivante per le erogazioni liberali, sul potenziamento delle eccellenze come volano per l’innalzamento qualitativo dell’intero sistema della ricerca, su tutto il territorio nazionale.

Proprio in merito a questi specifici obiettivi, mi auguro quindi che in futuro ci sia una necessaria e più adeguata riflessione nell’attività parlamentare e di Governo.

 

PRESIDENTE. Il rappresentante del Governo ha facoltà di rispondere all’interpellanza testé svolta.

PIZZA, sottosegretario di Stato per l’istruzione, l’università e la ricerca. Signora Presidente, con l’atto di sindacato ispettivo in oggetto, i senatori interpellanti pongono, ai Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione, del lavoro, della salute e delle politiche sociali, dell’istruzione, dell’università e della ricerca e dell’economia e delle finanze, alcuni quesiti che attengono agli effetti che determinerà nell’ambito degli enti di ricerca la disposizione generale di riordino della disciplina sulla stabilizzazione, contenuta nell’articolo 7 del disegno di legge di cui all’Atto Senato n. 1167, recante «Delega al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, nonché misure contro il lavoro sommerso e norme in tema di lavoro pubblico, di controversie di lavoro e di ammortizzatori sociali».

Preliminarmente si fa presente che gli enti di ricerca, aventi per l’anno 2008, ai sensi delle disposizioni vigenti in materia, risorse finanziarie disponibili per le assunzioni, comprese le stabilizzazioni, hanno presentato regolare richiesta di autorizzazione alle assunzioni. Il Dipartimento della funzione pubblica ha provveduto, prima della predisposizione dei relativi provvedimenti, a concludere le preliminari procedure istruttorie, come previsto dalla norma, a predisporre i prescritti decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, ad inoltrare gli stessi, già firmati dal Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, al Ministero dell’economia e delle finanze per acquisire il concerto e quindi la firma del relativo Ministro. La trasmissione al Ministero dell’economia e delle finanze è avvenuta, per tutti i predetti schemi di provvedimento, prima del 31 dicembre scorso.

Si segnala che il suddetto Dipartimento ha riconsiderato, a fine anno 2008, l’istruttoria sulle richieste pervenute, alla luce delle novità introdotte dall’articolo 1, comma 9, del decreto-legge 10 novembre 2008 n. 180, convertito in legge dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1, che, nel recare disposizioni urgenti “per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca”, ha previsto di escludere gli enti di ricerca dalla riduzione, non inferiore al dieci per cento, della spesa complessiva relativa al numero dei posti di organico del personale non dirigenziale, come sancita dall’articolo 74, comma 1, lettera c), del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. Quest’ultima novità legislativa, infatti, ha fatto venir meno in capo ai predetti enti l’obbligo di ridurre le dotazioni organiche e quindi ha comportato in molte circostanze la riproposizione da parte degli stessi di nuove richieste di assunzione per l’anno 2008, alla luce del nuovo quadro normativo.

Si ricorda, sempre per quanto riguarda le autorizzazioni ad assumere per l’anno 2008, che il decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, è intervenuto per dettare alcune disposizioni di proroga. In particolare, l’articolo 41, comma 1, prevede, anche per codesti enti, che il termine per procedere alle assunzioni di personale a tempo indeterminato, relative alle cessazioni verificatesi nell’anno 2007, è prorogato al 31 dicembre 2009 e le relative autorizzazioni possono essere concesse entro il 30 giugno 2009.

Ne consegue che le assunzioni, e quindi anche le eventuali stabilizzazioni, relative all’anno 2008, concesse con i relativi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (da adottare non oltre il 30 giugno 2009), potranno essere effettuate entro il termine massimo del 31 dicembre 2009.

Per quanto riguarda le assunzioni relative all’anno 2009, è in corso di emanazione la circolare che detta le istruzioni per procedere alle prescritte autorizzazioni.

Le previsioni fanno ritenere possibile l’adozione dei relativi provvedimenti entro il primo semestre dell’anno e, conseguentemente, le assunzioni ed eventuali stabilizzazioni potranno concludersi nei tempi con l’utilizzo delle risorse che il legislatore ha stanziato per l’anno 2009.

A tale proposito è necessario precisare che le disposizioni in materia di stabilizzazione negli enti di ricerca, contenute nelle leggi finanziarie 2007 e 2008, stanziavano risorse per dette finalità solo per gli anni 2007, 2008 e 2009, prevedendo che la relativa procedura speciale di reclutamento potesse svolgersi solo fino al 2009 (articolo 3, comma 90, della legge 24 dicembre 2007, n. 244).

L’intervento di riordino della disciplina, recato dall’articolo 7 dell’Atto Senato n. 1167, mira a definire gli effetti del percorso avviato con la precedente legislatura, introducendo la possibilità per il triennio 2009-2011 di procedure concorsuali speciali, volte a valorizzare l’esperienza professionale in particolare della platea di soggetti non stabilizzati o a causa del venir meno, dopo il 2009, di risorse finanziarie da destinare alle relative assunzioni o perché, comunque, non rientranti nel fabbisogno di personale dell’ente.

Come rilevato nell’interpellanza, è vero che l’avvio delle predette procedure concorsuali è subordinato all’effettivo fabbisogno degli enti, al superamento delle prove da parte dei candidati che possono usufruire della riserva, alla disponibilità di risorse finanziarie per l’assunzione. Non sussiste certezza, quindi, in merito all’effettiva assunzione dei soggetti interessati.

La circostanza descritta non è tuttavia molto diversa da chi partecipa ad un concorso, magari senza godere di posti riservati e, pur risultando vincitore, non può essere assunto a causa dei vincoli assunzionali che riguardano le amministrazioni pubbliche. La giurisprudenza si è più volte espressa ritenendo detti soggetti titolari di un interesse legittimo all’assunzione e non di un diritto soggettivo.

Per quanto riguarda il fatto di anticipare, con la norma in itinere, gli effetti della conclusione delle procedure di stabilizzazione al 30 giugno 2009, si ritiene che ciò non precluda, agli enti di ricerca, di utilizzare, per l’anno in corso, i finanziamenti previsti per le connesse assunzioni, considerato appunto che il Dipartimento per la funzione pubblica provvederà, come detto, ad adottare per tempo i relativi provvedimenti di autorizzazione ad assumere.

Circa i soggetti in possesso dei prescritti requisiti per la stabilizzazione, è utile segnalare che il numero si aggira intorno alle 2.000 unità, come riscontrato a seguito di un monitoraggio mirato fatto con gli enti di ricerca, e non alle 60.000 come riferito dagli interpellanti.

Sotto il profilo generale, si sottolinea che la ricerca è uno di quei settori caratterizzati da evoluzioni continue che non si conciliano con un fabbisogno ordinario, costante e continuativo, delle stesse professionalità. I ricercatori, infatti, vengono utilizzati in stretta connessione con il finanziamento dei progetti connessi agli obiettivi di sviluppo perseguiti, tenuto conto dei programmi di ricerca nazionali e di quelli comunitari ed internazionali. In detto settore, in sostanza, l’utilizzo di tipologie di lavoro flessibile è in linea con le esigenze istituzionali degli enti e con le caratteristiche delle attività svolte che sono destinate ad avere una durata limitata nel tempo in ragione del progetto e delle risorse assegnate. Risulterebbe, perciò, privo di utilità per gli enti e contrario ai principi di economicità, assumere a tempo indeterminato tutto il personale utilizzato per ricerche di durata prestabilita.

Secondo le regole a rilevanza costituzionale vigenti in materia di accesso al pubblico impiego, anche il reclutamento a tempo determinato avviene per pubblico concorso. Il tempo determinato trova il suo presupposto in attività che non rientrano, come detto, nel fabbisogno ordinario dell’ente. La programmazione deve, infatti, tenere conto che per quest’ultimo fabbisogno occorre bandire solo procedure concorsuali a tempo indeterminato.

Il corretto utilizzo della medesima programmazione del fabbisogno e delle scelte di reclutamento operate risulta anche coerente con il diverso affidamento dei partecipanti e dei non partecipanti al bando di concorso per l’assunzione a tempo determinato.

In relazione a detto affidamento non può, nel tempo, trasformarsi il reclutamento per il tempo determinato in una modalità di accesso a tempo indeterminato, al di là della natura pubblica della procedura. Ciò, infatti, striderebbe con il regolare, trasparente e corretto funzionamento del sistema, inficiando l’attività amministrativa di mancato rispetto delle regole di imparzialità.

Presidenza della vice presidente MAURO (ore 16,25)

(Segue PIZZA, sottosegretario di Stato per l’istruzione, l’università e la ricerca). Si ritiene, pertanto, che la soluzione prospettata dall’articolo 7 dell’Atto Senato n. 1167 sia quella che meglio contempera i principi inderogabili dell’ordinamento giuridico con l’esigenza di riconoscere un valore all’esperienza professionale maturata dai soggetti che hanno maturato l’anzianità di servizio prescritta.

Inoltre, la possibilità di mantenere in piedi i contratti di lavoro flessibile del suddetto personale, eventualmente anche in deroga alla normativa vigente in materia, sarà opportunamente valutata dopo il monitoraggio indicato nel citato articolo sulla base dei criteri forniti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che dovrà essere adottato al riguardo.

Con riferimento alle ulteriori richieste, il Governo ritiene sicuramente improcrastinabile l’investimento sulla ricerca e, a conferma della necessità e dell’urgenza di un approccio innovativo nei confronti soprattutto dei giovani ricercatori, già con il decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, ha provveduto a modificare le procedure di reclutamento degli stessi, relativamente alla composizione delle commissioni dei concorsi e alla valutazione dei candidati, secondo criteri e parametri riconosciuti anche in ambito internazionale; è stata anche prevista la chiamata diretta di studiosi stabilmente impegnati all’estero da almeno un triennio, che ricoprano una posizione accademica equipollente in istituzioni universitarie e che abbiano conseguito risultati scientifici congrui rispetto al posto per il quale ne è chiesto il rientro.

Lo stesso provvedimento, inoltre, allo scopo di valorizzare il merito dell’attività di ricerca svolta, dal 1° gennaio 2011 ha previsto, sempre per i ricercatori, scatti biennali previo accertamento, da parte dell’autorità accademica, dell’effettuazione nel biennio precedente di pubblicazioni scientifiche.

È stata data anche attuazione all’articolo 4-bis, comma 17, del decreto-legge 3 giugno 2008, n. 97, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2008, n. 129, disponendo assegnazioni agli enti di ricerca vigilati, finalizzate al reclutamento aggiuntivo di ricercatori per complessivi 517 posti, da coprire con le risorse stanziate per l’anno 2008, pari a 30 milioni di euro a regime, che non necessitano di autorizzazioni da parte della Funzione pubblica.

Il Ministero, nella consapevolezza della necessità di favorire concretamente il ricambio generazionale all’interno degli atenei e degli enti di ricerca pubblici destinando adeguate risorse al finanziamento di progetti di ricerca coordinati da giovani ricercatori non strutturati, e nella considerazione dell’esigenza concreta di selezioni meritocratiche, basate sull’effettiva eccellenza scientifica, misurata sul campo e connessa anche con la gestione ed il coordinamento di progetti di ricerca a rete (community network), che consenta di superare i tradizionali limiti della frammentazione disciplinare, con il decreto direttoriale 19 dicembre 2008 ha emanato il bando FIRB (Fondo per gli investimenti della ricerca di base) recante il programma «Futuro in Ricerca».

Tale programma è pertanto rivolto: per quanto riguarda la linea d’intervento 1, a dottori di ricerca italiani, o comunque comunitari, di età non superiore a 32 anni, non ancora strutturati presso gli atenei italiani, statali o non statali, e gli enti pubblici di ricerca afferenti al MIUR; per la linea d’intervento 2, a giovani docenti o ricercatori, di età non superiore a 38 anni, già strutturati presso le medesime istituzioni.

Il programma si concretizza nella presentazione, da parte dei soggetti di cui alle linee d’intervento predette, in qualità di responsabili di progetto e secondo le modalità e nei termini indicati, di progetti di ricerca fondamentale, anche a rete, di durata almeno triennale.

La valutazione scientifica dei progetti, ai fini dell’eventuale finanziamento ministeriale, è effettuata separatamente per ciascuna linea di intervento da una specifica commissione di esperti, anche di nazionalità non italiana, nominata dal Ministero su proposta della commissione di cui all’articolo 3 del decreto ministeriale n. 378/Ric. del 26 marzo 2004, sia mediante valutazione della documentazione presentata, sia mediante apposite audizioni.

Per i giovani dottori di ricerca di cui alla linea d’intervento 1, l’ammissione al finanziamento comporta, a pena di decadenza, il conferimento, da parte delle istituzioni partecipanti alla sperimentazione, di appositi contratti di durata almeno triennale, ai sensi della normativa vigente.

Al termine dei progetti, una commissione di esperti di settore, anche di nazionalità non italiana, procederà ad una valutazione ex post incentrata sulle attività svolte e sui risultati conseguiti, fornendo un giudizio complessivo e conclusivo.

Anche il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali ha provveduto, in data 29 dicembre 2008, ad impegnare tutte le somme del finanziamento previsto per l’anno 2008, relative ai programmi della ricerca sanitaria.

Nella medesima data sono stati anche pubblicati i bandi per la ricerca finalizzata, per la sicurezza sui luoghi di lavoro, per la sicurezza alimentare ed il bando per i ricercatori di età inferiore ai 40 anni: i quattro bandi sono consultabili, da tale data, sul sito Internet del Ministero, “Settore Salute”.

Per quanto riguarda le erogazioni liberali, il nostro sistema tributario già prevede una serie di agevolazioni fiscali, nella forma di detrazioni d’imposta e di deduzioni, per i soggetti che effettuano erogazioni liberali in favore di organizzazioni che svolgono ricerca scientifica.

La normativa di riferimento in materie di erogazioni liberali è costituita da una serie di disposizioni che elenco.

Ricordo innanzitutto l’articolo 1, comma 353, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, che prevede l’integrale deducibilità dal reddito, per i soggetti passivi IRES, dei fondi trasferiti per il finanziamento della ricerca, a titolo di contributo o liberalità, in favore di università, fondazioni universitarie, istituzioni universitarie pubbliche, enti di ricerca pubblici, fondazioni e associazioni riconosciute che svolgono o promuovono attività di ricerca scientifica.

Cito inoltre l’articolo 14 del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, che prevede la deducibilità, nel limite del 10 per cento del reddito e comunque nella misura massima di 70.000 euro annui, delle liberalità in denaro o in natura erogate da persone fisiche o da enti soggetti all’IRES in favore di fondazioni e associazioni riconosciute, che svolgono o promuovono ricerca scientifica. Tale deduzione non può cumularsi con ogni altra agevolazione prevista, a titolo di deduzione o di detrazione, da altre disposizioni di legge.

Vi è anche l’articolo 10, comma 1, lettera l-quater) del TUIR (Testo unico delle imposte sui redditi), che prevede una deduzione, dal reddito complessivo ai fini IRPEF, per le erogazioni liberali in denaro effettuate in favore di università, fondazioni universitarie e di istituzioni universitarie pubbliche, degli enti di ricerca pubblici, ovvero degli enti di ricerca vigilati dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca.

E ancora, ricordo l’articolo 15, comma 1, del TUIR, che per i soggetti IRPEF prevede, alla lettera h), una detrazione dall’imposta lorda, nella misura del 19 per cento, delle erogazioni in denaro a favore dello Stato, delle Regioni, degli enti territoriali, di enti ed istituzioni pubbliche, di comitati organizzatori appositamente istituiti con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, di fondazioni ed associazioni legalmente riconosciute, senza scopo di lucro, aventi per oggetto l’attività ovvero la promozione delle attività di studio, ricerca e di documentazione di rilevante valore culturale ed artistico.

Infine, occorre considerare l’articolo 100, comma 2, del TUIR, che per i soggetti IRES prevede la deducibilità delle erogazioni liberali fatte a favore di persone giuridiche che perseguono finalità di ricerca scientifica, per un ammontare non superiore al 2 per cento del reddito d’impresa dichiarato.

L’attuale sistema delle agevolazioni fiscali sembra essere un adeguato sostegno alla ricerca scientifica ed un sufficiente incentivo alle erogazioni liberali effettuate in favore della stessa. Un eventuale ampliamento ed allargamento delle agevolazioni fiscali potrebbe essere valutato soltanto in una situazione economica più favorevole.

MARINO Ignazio (PD). Domando di parlare.

 

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

 

MARINO Ignazio (PD). Signora Presidente, signor Sottosegretario, membri del Governo, onorevoli senatrici e senatori, posso ritenermi parzialmente soddisfatto per alcuni aspetti tecnici che il Sottosegretario ha fornito oggi all’Aula; in particolare, per il fatto che il termine per la stabilizzazione dei precari della ricerca sia stato spostato al 31 dicembre 2009. Ciò può far sperare che molti di questi dipendenti di enti pubblici impegnati in ricerca possano in effetti vedere riconosciuto il lavoro che hanno svolto negli anni.

Debbo però dichiararmi insoddisfatto per l’impostazione generale degli investimenti in ricerca. Farò alcuni commenti di carattere generale e altri specifici su due bandi che il Sottosegretario ha citato e che conosco molto bene, nei dettagli.

Innanzitutto, segnalo che partiamo da una situazione di grande ritardo, rispetto ad altri Paesi europei. Cito solo alcuni numeri perché, secondo me, sono più efficaci di molti discorsi. In Italia, abbiamo il 12,25 per cento dei laureati, rispetto a Paesi come la Francia e la Spagna che hanno il 25 per cento della popolazione laureata. La nostra popolazione tra i 25 e i 64 anni che ha conseguito un diploma ammonta soltanto al 51 per cento; la media europea supera il 70 per cento. Per quanto riguarda poi il numero dei ricercatori, faccio presente che le persone impegnate in ricerca nel nostro Paese sono circa 82.000, mentre Paesi che hanno alcuni milioni di abitanti in più, come la Germania e la Francia, hanno rispettivamente 280.000 e 210.000 persone impegnate in ricerca.

Quello che però a me preoccupa maggiormente è quanto viene investito e quanto viene indirizzato alle menti più giovani. Forse è un numero che non è noto a tutti quello relativo ai professori di ruolo in Italia al di sotto dei 35 anni, e lo cito sorridendo perché è grave: sono lo 0,05 per cento, in numero assoluto 9; in Inghilterra rappresentano il 16 per cento del corpo docente. Penso sia una discrepanza che non ha bisogno di commenti. Inoltre, proprio perché non ci sono state assunzioni e non si è investito nel settore della ricerca, negli ultimi venti anni l’età media dei ricercatori italiani è passata dai 38 ai 57 anni; quindi, l’età media dei ricercatori che lavorano nel nostro Paese ruota intorno ai 60 anni. Credo che questi siano numeri molto chiari che debbono farci capire come è diversa la nostra situazione.

Cito altre due decisioni importanti di Governi dell’Unione europea. Il Governo Sarkozy, a ottobre, in pieno crollo di Wall Street, ha deciso di raddoppiare i finanziamenti in ricerca e sviluppo della Francia, e lo sta facendo in questi giorni con l’emanazione di alcuni decreti; sottolineo che ha voluto raddoppiarli. Il Governo svedese, che è già il primo in Europa con il 4,27 per cento del PIL investito in ricerca, ha deciso urgentemente, nelle ultime settimane, di investire altri 500 milioni di corone in ricerca. Noi eravamo all’1,1 per cento e, se i miei conti non sono sbagliati, siamo scesi allo 0,9 per cento del PIL. È una situazione drammatica.

Quello che però a me sta più a cuore è il fatto che quei pochi denari che abbiamo a disposizione vengano almeno investiti bene e ha fatto bene il sottosegretario Pizza a ricordare due bandi per ricercatori recentemente annunciati, quello del Ministero del lavoro e quello del Ministero dell’istruzione, università e ricerca. Quest’ultimo ha pubblicato un bando nel quale invece del giudizio tra pari, universalmente riconosciuto per attestare il merito dei migliori – un principio sul quale si è spesa anche la senatrice Bonfrisco, che mi ha molto aiutato ad avere l’unanimità dell’Assemblea – si prevede che a giudicare sarà una commissione nominata dal Ministro, che al posto della peer review, il giudizio tra pari, utilizzerà il sistema delle audizioni che forse sono più adeguate per selezionare ballerine e cantanti piuttosto che scienziati.

 

 

 

Ordine del giorno
per le sedute di martedì 3 febbraio 2009

PRESIDENTE. Il Senato tornerà a riunirsi martedì 3 febbraio, in due sedute pubbliche, la prima alle ore 11 e la seconda alle ore 16,30, con il seguente ordine del giorno:

 

La seduta è tolta (ore 18,06).

 

INTERPELLANZA E INTERROGAZIONI

Interpellanza con procedimento abbreviato, ai sensi dell’articolo 156-bis del Regolamento, su iniziative a sostegno dell’attività di ricerca

(2-00037 p.a. ) (09 ottobre 2008)

MARINO Ignazio, COSENTINO, DI GIROLAMO Leopoldo, PORETTI, AGOSTINI, AMATI, ANTEZZA, BIONDELLI, BUBBICO, CARLONI, CAROFIGLIO, CHIURAZZI, D’AMBROSIO, DE SENA, DEL VECCHIO, DELLA SETA, DI GIOVAN PAOLO, FILIPPI Marco, FIORONI, FRANCO Vittoria, GASBARRI, GRANAIOLA, LEGNINI, MARITATI, MONGIELLO, PASSONI, PIGNEDOLI, PINOTTI, PROCACCI, RANUCCI, SANNA, SERAFINI Anna Maria, SIRCANA, TREU, VIMERCATI, VITA. – Ai Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione, del lavoro, della salute e delle politiche sociali, dell’istruzione, università e ricerca e dell’economia e delle finanze. – Premesso che:

            nel disegno di legge «collegato» al disegno di legge finanziaria per il 2009, recante delega al Governo in materia di lavori usuranti e di riorganizzazione di enti, misure contro il lavoro sommerso e norme in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro, in corso di esame presso la Camera dei deputati, il Governo, con un emendamento, ha inserito un articolo aggiuntivo che prevede l’abrogazione, a decorrere dal 1º luglio 2009, delle disposizioni relative alle procedure di «stabilizzazione» dei rapporti di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, previste dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007) e dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008);

            le procedure di stabilizzazione previste dalle leggi finanziarie per il 2007 e per il 2008 rispondevano all’esigenza di risolvere la drammatica ed annosa situazione dei lavoratori precari sanando, così, un’anomala situazione che ha visto l’utilizzazione, per anni, del lavoro di persone che, in molti casi, vincitori o idonei di concorsi o selezioni svolte negli anni passati, non erano e non sono mai state assunte, a causa del continuo blocco delle assunzioni;

            le norme che l’emendamento intende abrogare – in particolare i commi da 417 a 420, 519, 529, 558, 560 e 644 dell’articolo 1 della legge finanziaria per il 2007 ed i commi 90, 92, 94, 95, 96 e 97 dell’articolo 3 della legge finanziaria per il 2008 – sono, rispettivamente, in vigore dal 1º gennaio 2007 e dal 1º gennaio 2008, e sulla base di queste norme molti enti pubblici ed enti locali hanno già approvato, entro il termine prescritto, piani triennali di assunzione del personale, prevedendo, oltre a concorsi e selezioni, la stabilizzazione dei cosiddetti precari;

            si tratta di oltre 60.000 dipendenti con contratto a tempo determinato che ormai pensavano, grazie alle suddette procedure, di essere finalmente «stabilizzati»;

            grazie alle proposte dell’opposizione il Governo ha riformulato l’emendamento – che nella versione originaria prevedeva l’abrogazione immediata della disciplina di stabilizzazione – con ciò facendo salve le procedure di stabilizzazione in corso, per le quali si sia proceduto all’espletamento delle relative prove selettive alla data di entrata in vigore della disposizione in esame, fermo restando che le suddette procedure di stabilizzazione siano perfezionate entro il 30 giugno 2009;

            si tratta però solo di un’apparente soluzione al problema: non essendo ancora stati prodotti i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri autorizzativi, infatti, non ci sono i tempi utili per procedere alle stabilizzazioni e per bandire nuovi concorsi. È quindi realistico pensare che il termine del 30 giugno 2009 non sarà sufficiente per procedere non solo alle stabilizzazioni previste con la legge finanziaria per il 2008, ma neanche a quelle previste con la legge finanziaria per il 2007;

        premesso inoltre che:

            non può certo essere sostenuta dal Governo la tesi in virtù della quale l’articolo aggiuntivo ristabilirebbe il principio del pubblico concorso per l’assunzione, considerato che molti precari, destinatari della stabilizzazione, hanno già sostenuto concorsi e prove selettive e sono vincitori ed idonei di concorsi;

            la norma che prevede la riserva di posti «non superiore al 40% dei posti messi a concorso» a favore dei precari per le procedure concorsuali da espletare nel triennio dal 2009 al 2011 rischia di creare false aspettative per persone che versano in una situazione di totale incertezza, in quanto non solo il tetto del 40 per cento è meramente indicativo, ma a causa dei tagli finora effettuati sui fondi destinati alla ricerca, probabilmente si tratta di concorsi che potranno soddisfare le aspettative di un numero esiguo di precari;

            tutti questi precari «di lunga data» non solo perderanno il lavoro, ma dovranno rimettersi in coda, e aspettare, vanamente, il successivo concorso pubblico;

        considerato che:

            anche per il personale precario degli enti di ricerca la situazione si presenta drammatica: si tratta di personale altamente qualificato, che per anni ha svolto con rigore e professionalità il proprio lavoro, consentendo alla ricerca italiana un ruolo da protagonista in ambito internazionale;

            per anni migliaia di ricercatori, tecnici, amministrativi hanno lavorato in condizioni difficilissime garantendo il funzionamento del sistema pubblico della ricerca e dell’università;

            sono circa 10.000 i precari della ricerca a rischio per effetto della norma che blocca il graduale assorbimento del precariato nella pubblica amministrazione e che, per far fronte alla situazione, hanno dato luogo ad una mobilitazione che dura da giorni occupando diversi enti di ricerca, come l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (Isfol), l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), l’Istituto nazionale per la ricerca sugli alimenti e la nutrizione (Inran), l’Istituto nazionale per la fisica nucleare (Infn), l’Agenzia spaziale italiana (Asi), l’Istituto superiore di sanità (Iss) ed il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr);

            il blocco delle procedure di stabilizzazione comporta la dispersione di un patrimonio prezioso costituito da persone non più giovani, che hanno investito la loro esperienza nella ricerca, magari tornando dall’estero, e che vedono svanire la possibilità di avere un futuro lavorativo in Italia;

            l’impossibilità di continuare ad usufruire dei precari «storici» comporta anche la vanificazione delle risorse ingenti investite nella loro formazione e nei progetti di ricerca e l’aumento, a questo punto inevitabile, del triste fenomeno della «fuga dei cervelli»;

            non si può non vedere dietro la mancata stabilizzazione di migliaia di dipendenti degli enti pubblici di ricerca il tentativo di privatizzare la ricerca;

            nella XV Legislatura, ai sensi delle leggi finanziarie per il 2007 e per il 2008, sono stati assegnati fondi, pari a 82 milioni di euro, destinati a progetti di ricerca presentati da giovani ricercatori con meno di 40 anni, giudicati da una commissione di esperti anch’essi di età inferiore ai 40 anni, per la metà stranieri. L’attuale Governo non ha però ancora emanato il bando di attuazione, rischiando di vanificare la portata innovativa e meritocratica della disposizione in esame e di disperdere 82 milioni di euro per la ricerca destinati ai più giovani,

        si chiede di sapere:

            quali iniziative i Ministri in indirizzo intendano adottare al fine di garantire la continuità dell’attività svolta dagli enti di ricerca, evitando così lo smantellamento degli stessi e la perdita degli attuali livelli occupazionali e delle qualificate professionalità, nonché il proseguimento delle fondamentali attività di ricerca;

            quali risposte intendano dare alle migliaia di precari che hanno lavorato negli enti di ricerca con professionalità e dedizione e che da un giorno all’altro, dopo anni di esperienza e di lavoro, si troveranno senza lavoro, nell’attesa illusoria di una riserva nei concorsi, troppo anziani per cercare un altro lavoro o per andare all’estero;

            se non ritengano che disposizioni di questo genere comportino un’ulteriore forte spinta ad andare all’estero dove la ricerca è premiata e sostenuta e la penalizzazione di chi, a causa del perpetrarsi del blocco delle assunzioni, ha avuto la «sfortuna» di avere un contratto a tempo determinato nell’aspettativa di partecipare a concorsi pubblici;

            se il Governo non ritenga improcrastinabile l’investimento sulla ricerca, anche al fine di conseguire gli obiettivi di crescita sanciti nel Consiglio europeo di Lisbona, ritenendo a tal fine indispensabile rafforzare la crescita e l’indipendenza in particolare dei ricercatori;

            in quali tempi il Governo intenda emanare i bandi di attuazione per i progetti di ricerca presentati da giovani ricercatori con meno di 40 anni, al fine di non disperdere gli 82 milioni di euro stanziati dalla legge finanziaria per il 2008;

            quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di realizzare un progetto basato sulla valutazione e sulla valorizzazione del merito, su risorse appropriate e programmate, su un regime fiscale incentivante per le erogazioni liberali, sul potenziamento delle eccellenze come volano per l’innalzamento qualitativo dell’intero sistema della ricerca su tutto il territorio nazionale.

 

obama APRILE ONLINE 09 marzo 2009

Ricerca, il nuovo inizio di Obama La novità Il presidente cancella i divieti imposti da Bush allo studio sulle cellule staminali embrionali riattivando i finanziamenti federali sospesi. Resta come vincolo il rifiuto della clonazione umana per fini riproduttivi. Dura la condanna della Chiesa, americana e italiana La svolta promessa non riguarda solo la politica estera. Il nuovo volto dell’America di Obama da oggi sarà visibile anche sul piano scientifico. Si rompe con gli anni del bushismo, con l’afflato religioso che ha soffocato gli ultimi due lustri di vita a stelle e strisce, con l’offensiva ty-con che ha stroncato la scienza sotto la scure dei divieti e dei limiti. Da oggi gli Usa riprendono la ricerca sulle cellule staminali embrionali tentando di recuperare il tempo perso con la presidenza di George W. I finanziamenti federali alla materia sono stati reintrodotti, dopo che nel 2001 erano stati sospesi, ed entro 120 giorni il National Institute of Health, cuore pulsante della sperimentazione e dello studio scientifico americano, dovrà mettere a punto le linee guida delle modalità con cui il denaro federale verrà distribuito. Per ora Obama ha dato il via libera ad uno studio che potrà disporre degli embrioni già esistenti, ma non riguarderà l’estrazione di nuovo materiale cellulare da quelli in sovrannumero: una situazione che probabilmente sarà chiarita dal Congresso. Colpisce la decisione, ma ancor di più la ragione con cui, in occasione di una cerimonia alla Casa bianca, il presidente ha motivato l’atto. “Le scelte sulla ricerca scientifica devono essere basate sui fatti, non sull’ideologia”, ha infatti detto Obama. Senza fanatismi: né laicisti né religiosi. “Da credente penso che sia necessario alleviare le sofferenze” e, sempre da credente, si augura che “l’America guiderà il mondo verso le scoperte che questo tipo di ricerca potrà un giorno offrire”. Un discorso equilibrato, che oltre ad evitare derive antireligiose o eccessi mistici, ha tenuto conto dello stato dell’arte. Obama ha fiducia nella scienza, ma senza sopravvalutazioni. Perché “la completa potenzialità della ricerca sulle cellule staminali – ha spiegato – resta sconosciuta, e non deve essere esagerata. Ma gli scienziati ritengono che queste piccole cellule possano avere il potenziale di aiutarci a capire, e possibilmente a curare, alcune delle più devastanti condizioni mediche e malattie”. Dunque c’è da studiare ancora, da capire, da ricercare. Magari non si approderà a nessun traguardo, o forse si riuscirà a varcare la soglia della conquista scientifica, non è questo l’importante. L’importante è tentare comunque, sfruttando qualsiasi potenzialità che si presenta, battendo ogni strada che si prospetta. Ammette infatti il presidente di non poter “promettere che troveremo i trattamenti e le cure che cerchiamo”, ma ha garantito che la sua amministrazione farà tutto il possibile per favorire la ricerca, agendo “in modo attivo, responsabile, e con l’urgenza necessaria per recuperare il tempo perduto”. Lo stesso tempo che non ha prodotto ciò che doveva per via delle scelte operate dalla vecchia amministrazione, che “ha imposto quella che ritengo una falsa scelta tra solida scienza e valori morali”, i quali al contrario non sono in antitesi, non si escludono a vicenda. Tanto che il divieto alla clonazione umana a scopi riproduttivi resta valido, resta in piedi, perché “pericoloso e profondamente sbagliato” che “non trova posto nella nostra società, o in alcuna società”. Obama ha dedicato la decisione di ristabilire i finanziamenti alla ricerca sulle staminali embrionali alla coppia di attori scomparsi Christopher e Dana Reeve. L’ex Superman, morto nel 2004, e la moglie, stronacata da un tumore due anni dopo, sono stati due paladini della causa. “Vorremmo che fossero con noi in questo momento” ha detto Obama. Christopher Reeve, ha affermato, non ha avuto la possibilità come sperava di veder sviluppare farmaci che gli permettessero di tornare a camminare, “ma se perseguiamo questa ricerca – ha aggiunto il presidente – forse un giorno, forse non durante la nostra vita, o nemmeno durante quella dei nostri figli, ma forse un giorno altri come lui potrebbero farcela”. Oltre all’ordine esecutivo sulle staminali embrionali, il presidente ha anche firmato un memorandum per delineare le linee guida dell’amministrazione in materia di rapporto tra scienza e politica, per “sviluppare una strategia che ristabilisca l’integrità scientifica nell’iter delle scelte di governo”. Il segnale che si cambia, e non solo in Iraq, ma anche a New York. Tanto evidente la linea della discontinuità da far tremare i vertici religiosi. Tuona infatti la Conferenza dei vescovi americani che, per voce del cardinale di Filadelfia, Justin Rigali, parla di “una triste vittoria della politica sulla scienza e l’etica”. Ma anche fuori dai confini americani la reazione religiosa è tutt’altro che positiva. Non casualmente domani sull’Osservatore Romano si potrà leggere: “Il riconoscimento della dignita’ personale deve essere esteso a tutte le fasi dell’esistenza dell’essere umano: su questa maturità del pensiero si fonda una reale democrazia, capace di riconoscere l’uguaglianza di tutti gli uomini e d’impedire ogni ingiusta discriminazione basata sul loro sviluppo o sulla loro condizione di salute”.

Il carattere sacro della vita

“Il carattere sacro della vita è ciò che impedisce al medico di uccidere e che lo obbliga nello stesso tempo a dedicarsi con tutte le risorse della sua arte a lottare contro la morte. Questo non significa tuttavia obbligarlo a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre una scienza instancabilmente creatrice. In molti casi non sarebbe forse un’inutile tortura imporre la rianimazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile? In quel caso, il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di voler prolungare il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi condizione, una vita che non è pienamente umana e che va naturalmente verso il suo epilogo … Anche in questo il medico deve rispettare la vita.”

Lettera di Paolo VI al Cardinale Villot (1970), responsabile dei medici cattolici